È VALIDA LA CLAUSOLA CHE ESCLUDE IL DIRITTO DEL CONDUTTORE ALL’INDENNITA’ PER I MIGLIORAMENTI APPORTATI ALL’IMMOBILE LOCATO

Con una recente sentenza (n. 5968 del 3 marzo 2020), la Cassazione ha ribadito il principio secondo cui la clausola del contratto di locazione, che esclude la corresponsione al conduttore di un’indennità per i miglioramenti apportati all’immobile locato, non deve considerarsi limitativa della responsabilità del locatore ai sensi dell’art. 1229 c.c., perché non incide sulle conseguenze della colpa o dell’eventuale inadempimento di quest’ultimo, bensì sul diritto sostanziale all’indennità prevista, con norma derogabile, dall’art. 1592 c.c.
Con la sentenza impugnata in sede di legittimità, la Corte d’Appello – per quel che rileva ancora in questa sede – aveva rigettato la domanda proposta dalla conduttrice, volta alla pronuncia della risoluzione del contratto di locazione concluso tra le parti per inadempimento della concedente, contestualmente condannando la prima al pagamento, in favore della seconda, dei canoni scaduti e non corrisposti fino alla detenzione dell’immobile locato.
A fondamento della decisione assunta, la Corte territoriale aveva evidenziato che, rispetto alla questione relativa all’eventuale ricorso, a carico del suddetto immobile, di vizi rilevanti ai sensi dell’art. 1578 c.c., assumesse carattere assorbente la circostanza consistita nell’avvenuta espressa assunzione, da parte della società conduttrice, di ogni responsabilità, onere o rischio, in relazione al mancato rilascio delle autorizzazioni amministrative necessarie per lo svolgimento dell’attività cui l’immobile locato sarebbe stato destinato, da tanto sollevando la posizione contrattuale della locatrice.
Conseguentemente, nessuna responsabilità poteva essere ascritta a quest’ultima, secondo quanto preteso dalla conduttrice, alla quale, sotto altro profilo, neppure avrebbe potuto riconoscersi alcuna indennità per i lavori eseguiti all’interno dell’immobile locato, avendo la stessa conduttrice espressamente e formalmente rinunciato ad ogni rimborso o indennità con riferimento ai suddetti lavori.
Entrambe le rationes decidendi venivano censurate dalla soccombente.
Sotto il primo profilo, la ricorrente per cassazione denunciava la violazione dell’art. 1578 c.c., per avere il giudice distrettuale erroneamente escluso che l’inidoneità dell’immobile locato al conseguimento delle autorizzazioni amministrative necessarie per lo svolgimento delle attività convenute nel contratto di locazione non integrasse la fattispecie del “vizio della cosa locata” rilevante ai sensi dell’art. 1578 c.c., tale da legittimare la conduttrice alla richiesta di risoluzione del contratto e di risarcimento del danno.
Il motivo è stato disatteso, richiamando l’orientamento della magistratura di vertice, ai sensi del quale, quando il conduttore, essendo a conoscenza della destinazione d’uso dell’immobile locato nel momento in cui al contratto è stata data attuazione e, quindi, anche dell’inidoneità dello stesso a realizzare il proprio interesse, abbia accettato il rischio economico dell’impossibilità di utilizzazione dell’immobile stesso come rientrante nella normalità dell’esecuzione della prestazione, non sussistono i requisiti per la risoluzione del contratto ex art. 1578 c.c., poiché il mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d’uso dell’immobile locato non è di ostacolo alla valida costituzione del rapporto di locazione, sempre che vi sia stata, da parte del conduttore, concreta utilizzazione del bene secondo la destinazione d’uso convenuta (v. Cass. 21 gennaio 2011, n. 1398, in Giur. it., 2011, 2518; Cass. 15 ottobre 2002, n. 14659, in Rass. loc. e cond., 2003, 338).
In quest’ottica, la Corte territoriale aveva avuto cura di evidenziare, per un verso, l’avvenuta dimostrazione della consapevolezza, da parte della conduttrice, della concreta destinazione dell’immobile locato ad un settore merceologico diverso da quello (alimentare) cui lo stesso avrebbe dovuto essere destinato a seguito della conclusione del contratto de quo, e, per altro verso, l’espressa assunzione, da parte della stessa conduttrice, del rischio economico legato all’eventuale impossibilità di utilizzazione dell’immobile in ragione della mancata acquisizione, o del mancato rilascio, dei titoli amministrativi a tal fine necessari (sul versante dottrinale, v. Scarpa, Rilascio di autorizzazioni e standards di funzionalità del bene locato necessari per l’uso pattuito, in Immobili & proprietà, 2012, 387; Mazzeo, Le obbligazioni del locatore e i vizi del bene locato, in Arch. loc. e cond., 2008, 573).
Peraltro, la stessa Corte d’Appello aveva adeguatamente considerato: 1) che la società locatrice non avesse assunto contrattualmente alcuno specifico obbligo in ordine all’eventuale rilascio dei titoli amministrativi indispensabili all’uso dell’immobile locato; 2) che la mancanza di detti titoli non fosse dipesa da caratteristiche proprie del bene locato, tali da impedirne in radice il rilascio; 3) che la società conduttrice era rimasta nella disponibilità dell’immobile locato sino alla scadenza del contratto.
Stando così le cose, correttamente il giudice distrettuale aveva escluso alcuna responsabilità contrattuale della società concedente, trovando applicazione, al caso di specie, l’insegnamento degli ermellini, ai sensi del quale, in caso di mancato conseguimento dei titoli amministrativi necessari per lo svolgimento delle attività convenute nel contratto di locazione, l’inadempimento del locatore può configurarsi nei soli casi in cui lo stesso abbia espressamente assunto l’obbligo specifico di ottenere detti titoli, oppure quando il relativo mancato conseguimento sia dipeso da carenze intrinseche o da caratteristiche proprie del bene locato (sì da impedirne in radice il rilascio), restando invece escluso allorché il conduttore abbia conosciuta e consapevolmente accettata l’assoluta impossibilità di ottenerli (v., ex multis, Cass. 26 luglio 2016, n. 15377, in Foro it., Rep. 2016, voce Locazione, n. 69).
Sotto il secondo profilo, la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1229 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente disatteso la domanda della conduttrice diretta al conseguimento delle indennità per i lavori di adeguamento dell’immobile locato, senza avvedersi della contrarietà, del patto con il quale la medesima conduttrice aveva rinunciato ad ogni rimborso al riguardo, al disposto dell’art. 1229 c.c. nella parte in cui sancisce la nullità della clausola che escluda o limiti preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave.
La censura è stata ritenuta infondata dalle toghe del Palazzaccio, osservando che, al negozio in esame – riferito alla preventiva rinuncia, da parte della società conduttrice, di alcuna indennità per i lavori di adeguamento dell’immobile locato – non risultasse in alcun modo applicabile la fattispecie di cui all’art. 1229 c.c., non emergendo il ricorso di alcuna preventiva limitazione di responsabilità della società concedente per dolo o colpa grave in relazione all’impegno in esame.
In proposito, si è insegnato che la clausola del contratto di locazione, che esclude la corresponsione di un’indennità per i miglioramenti in favore del conduttore, non è da ricomprendere tra quelle che prevedono una limitazione di responsabilità della controparte che l’abbia predisposta, non incidendo sulle conseguenze della colpa o dell’eventuale inadempimento di quest’ultimo, agendo bensì sul diritto sostanziale, escludendo l’indennità per i miglioramenti, previsti dall’art. 1592 c.c. con norma derogabile (v. Cass. 18 luglio 2002, n. 10425, in Foro it., Rep. 2002, voce Contratto in genere, n. 325).
Allargando l’indagine, si osserva come sia pacifico in giurisprudenza che, in tema di manutenzione della cosa locata e di miglioramenti ed addizioni alla stessa, le disposizioni di cui agli artt. 1592 e 1593 sono convenzionalmente derogabili tra le parti (v., per tutte, Cass. 20 giugno 1998, n. 6158, in Foro it., Rep. 1998, voce Locazione, n. 155; Cass. 11 gennaio 1991, n. 192, in Rass. equo canone, 1991, 167; nella giurisprudenza di merito, si segnala Trib. Firenze 10 novembre 2000, in Foro toscano, 2001, 24, con nota di Cariti, il quale aggiunge che, invece, è inderogabile la norma dell’art. 1575 n. 1, c.c. che prevede l’obbligo per il locatore di consegnare la cosa in buono stato di manutenzione, con i conseguenti obblighi, in capo allo stesso, di mantenimento ex art. 1575, n. 2, c.c. e di riparazione ex art. 1576 c.c. adeguati allo stato della cosa al momento della consegna e non migliorativi).
Si sottolinea, altresì, che, in tema di miglioramenti ed addizioni alla cosa locata, le disposizioni di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c., non essendo di carattere imperativo, sono derogabili dalle pattuizioni contenute nel contratto (in dottrina, v. Barlassina – Felici, Miglioramenti e addizioni: derogabilità del regime legale e tecnica contrattuale, in Immobili & proprietà, 2011, 171).
Se, poi, le parti, nella loro autonomia contrattuale, derogando alla disciplina legale prevista dagli artt. 1592 e 1593 c.c. per i miglioramenti e le addizioni apportati alla cosa dal conduttore con il consenso del locatore, pattuiscono l’obbligo di quest’ultimo di rimborsargli le spese occorrenti per le corrispondenti opere, il relativo debito non muta la natura che gli attribuisce la legge, dovendosi calcolare in base all’integrale valore di esse, così modificandosi soltanto il criterio legale della minor somma tra lo speso e il migliorato (v. Cass. 23 maggio 1997, n. 4608, in Rass. loc. e cond., 1997, 286).
Sia pure in tema di locazione ad uso diverso da quello abitativo, si è avvertito che la previsione pattizia, con cui si pone a carico del conduttore, quali obbligazioni entrambi principali ed avvinte da nesso sinallagmatico, il pagamento del canone e l’esecuzione di talune opere di miglioramento e di addizione dell’immobile locato, non altera di per sé l’equilibrio contrattuale – in modo da configurare un’elusione dell’art. 79 della legge n. 392/1978 – laddove l’obbligazione di pagamento, nel rispetto dell’art. 32 della citata legge, sia determinata tenuto conto dell’altra prestazione, giacché, da un lato, ai sensi della medesima legge sul c.d. equo canone, la determinazione del canone è libera e, dall’altro, le disposizioni di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c., in quanto non imperative, sono derogabili dalle pattuizioni contrattuali, non costituendo, altresì, l’art. 1587 c.c. un ostacolo all’autonomia contrattuale nell’inserimento di altre obbligazioni di natura “principale” nell’unico contratto di locazione (v. Cass. 31 maggio 2010, n. 13245, in Foro it., Rep. 2010, voce Locazione, n. 210: nella specie, si è confermata la sentenza di merito, che aveva dichiarato risolto un contratto di locazione di un immobile, da adibire a camping, per inadempimento del conduttore all’obbligo di realizzare determinate opere di miglioramento dello stesso immobile, reputando siffatta obbligazione di carattere principale, unitamente a quella di pagamento del canone di locazione).
Preme, tuttavia, sottolineare che – ad avviso di Cass. 9 maggio 2007, n. 10623, in Foro it., Rep. 2007, voce Azienda, n. 23 – la disciplina dettata dagli art. 1592 e 1593 c.c., in tema di miglioramenti ed addizioni all’immobile apportate dal conduttore, non trova applicazione nell’affitto di azienda, per il quale non è previsto uno ius tollendi in capo all’affittuario al termine del rapporto: infatti, dal combinato disposto degli art. 2561, comma 3, e 2562 c.c., emerge che la differenza tra le consistenze di inventario all’inizio ed al termine dell’affitto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell’affitto, sia essa derivata da mutamenti quantitativi o soltanto qualitativi delle componenti aziendali (tra i contributi sull’argomento, v. Chiesi, Codice commentato delle locazioni, Milano, 2020, sub art. 1592 c.c., § 1).
Alberto Celeste –

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